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Arturo Viligiardi (1869-1936)

La Pia dé Tolomei, 1891-92
olio su tela, cm. 90×181

L’interesse per l’architettura, lo studio degli antichi edifici civili e religiosi del medieovo, trova in questi anni un valido banco di prova proprio nei dipinti e nei molti disegni in cui Viligiardi si dedica, è il caso della Pia, a una ricostruzione attenta fin nei minimi dettagli, quasi che attraverso le architetture dipinte egli cercasse di individuare le regole basilari dell’arte di costruire.

La volontà di Viligiardi di comporre, di edificare lo spazio, è ben evidente in quest’opera, dove ogni elemento appare disposto in modo accuratamente studiato. Non è infatti un caso che la lunetta abbia un asse simmetrico che coincide con l’alta torre circolare e con la balaustra su cui è reclinata la figura della protagonista, con precise valenze simboliche sulle quali ritorneremo più avanti.

Anche l’utilizzo della lunetta inscritta in un rettangolo mostra una particolare attenzione per la forma e la volontà di realizzare, più che un quadro, un oggetto vero e proprio, in cui tutto, perfino la cornice metallica, finemente decorata con rosette e traforata a motivi trilobati, concorre alla messa in scena di una leggenda medievale, di sapore gotico.

Il dipinto si colloca così come uno spartiacque tra la fase accade­mica-giovanile, che non supera il 1894, e quella impetuosa e sim­bolista terminante prima del nuovo secolo. In effetti gli elementi di una lenta ma inarrestabile evoluzione appaiono evidenti: da un lato l’ambientazione, la sua resa fedele e prospetticamente ben riuscita delle architetture è la medesima che troviamo nei dipinti precedenti, dall’altro possiamo notare che la riduzione del numero dei perso­naggi e la volontà di concentrare tutta l’attenzione sulla figura della protagonista e sul suo stato d’animo sono aspetti del tutto nuovi.

Nella Pia l’artista cerca di indagare il rapporto tra il mondo del peccato e quello della conversione. Per questo egli cerca di rappre­sentare la giovane donna in raccoglimento, immersa nel suo dolore e intenta a espiare cristianamente i propri peccati per ottenere, come coloro che “lume del ciel fece accorti”, il perdono divino. D’altronde che sia l’aspetto religioso quello a cui Viligiardi si mostra in questa rappresentazione interessato, e non la diatriba che da secoli tenta di identificare e ricostruire la vera storia della nobil donna senese è dimostrato dalla scritta riportata nella cornice del dipinto «Ricordati di me che, son la Pia / Siena mi fé, disfecemi Maremma», che riporta solo i primi dei versi danteschi e non anche i due seguenti, cioè i più enigmatici.

Il pittore non cerca di accrescere il mito romantico di una Pia vittima innocente, al contrario sembra disinteressarsi delle varie storie narrate dai primi commentatori danteschi, per riflettere su quelle poche certezze che gli derivano direttamente da Dante. E, come il grande poeta, ricolloca la giovane nel giusto contesto dei «peccatori infino all’ultima ora». La raffigura intenta a espiare i propri peccati e la coglie nel momento in cui si apre alla Grazia «arrestando ogni ricordo del passato all’istante in cui rifluisce in essa, con lo scorrere di nuovi sentimenti, la vita spirituale, in cui inizia la riscoperta di se stessa al di sopra di ogni odio».

Il «Ricordati» trascritto dal pittore sembra rifarsi all’ammonimento che la Pia, per mezzo di Dante, fa ai lettori di tutti i tempi a non dimenticare il suo esempio di espiazione.

L’opera è stata acquistata nel 2005

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