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Segna di Bonaventura (Siena, notizie dal 1298 al 1327)

Madonna con il bambino in trono, san Bartolomeo, sant’Ansano e una donatrice, 1318-20

Tempera e oro su tavola, cm. 166×81,5

La pala è una delle opere più compiute e stilisticamente meditate di Segna di Bonaventura, forse il punto più alto di una produzione di cui ci è giunto un numero limitato di dipinti; accanto alla nostra Maestà solo quella di Castiglion Fiorentino può competere per l’elaborazione della scena e la alternanza di particolari raffinati che si richiamano l’un l’altro con sapiente amalgama. È soprattutto la ben costruita inquadratura architettonica del trono a dominare la scena con una comprensione dello spazio ben meditata a conferma di una conoscenza dei fatti più recenti nel panorama della cultura pittorica senese del secondo decennio del Trecento. A lungo stretto collaboratore di Duccio, Segna ebbe modo di accostarsi alla produzione di Simone Martini, che tradusse, nelle sue opere, in una più sfumata dolcezza nella stesura dei volti e in una approfondita capacità della interpretazione luminosa delle forme nella modulazione di chiari e scuri. Non si potrebbe spiegare altrimenti il sottile espediente di approfondire lo spazio adottando due diverse intensità di rosa nella traduzione dei pilastri del trono a imitazione del marmo. più intenso, quasi un rosa antico, a sinistra, un alleggerito tono di rosa pesca a destra, come se la luce si posasse più intensa, e quindi più vibrante, su quel lato. Lo stesso volto della Vergine ammorbidisce i tratti in una severità stemperata dalla leggerezza dei lineamenti; e ancora la ricerca di una spazialità più articolata, quasi a superare i limiti imposti dalla bidimensionalità, trapela da quell’allargarsi, un poco scomposto, delle gambe del Bambino che segnano, nel trapezio costruito dal movimento, una sorta di ampliamento atmosferico attorno al gruppo divino. Sono espedienti tecnici ormai pienamente acquisiti le preziose decorazioni in lacca rossa, in blu e biacca che corrono lungo il bordo del manto blu, come a imitare agemine di argento e smalti, evocati in forme non dissimili nei più conosciuti modelli, quali quelli adottati per la Maestà di Simone Martini nel Palazzo Pubblico. La convergenza di tali indizi porta a ipotizzare una data d’esecuzione intorno al 1318-20, poco dopo la scomparsa di Duccio.