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Astolfo Petrazzi (1580-1635)

L’Estate, 1644 circa
olio su tela, cm. 95,4×158,6

Il dipinto raffigurante l’Estate fa parte di un ciclo avente come tema le stagioni e, probabilmente, insieme ad altre tele già note in collezioni private, raffiguranti l’Inverno e la Primavera proviene dalla villa chigiana delle Volte. È stato acquistato nel 2008.

L’attività artistica del Petrazzi si caratterizza per una molteplicità di soggetti e di intenti: per la destinazione pubblica le grandi pale d’altare a soggetto religioso e per quella privata le nature morte e i soggetti musicali. Il pittore pare al centro di un grande atelier fre­quentato da giovani anche forestieri fra i quali spiccava quello che poi diverrà il massimo specialista del genere delle battaglie ovvero Jacques Courtois detto ‘il Borgognone’ e che raggruppava una serie non meglio identificata di artisti specializzati nel realizzare nature morte.

Prendendo a esempio il nostro esemplare appare abbastanza chiaro che ci troviamo davanti a un dipinto eseguito almeno a due mani. La fanciulla appoggiata sull’angolo sinistro del quadro e che, assieme ai suoi attributi iconografici, rappresenta la personificazione dell’Estate, reca un fascio di spighe di grano e si riposa all’ombra di una quercia della quale si intravede in alto un ramo di rovere. Questi due particolari probabilmente vogliono richiamare nello spettatore un buon auspicio per la committenza: abbondanza di messi (fascio di grano) per la famiglia Chigi (tralci di rovere). Le fattezze della fanciulla appartengono in modo indiscutibile alla mano del Petrazzi: un certo immobilismo plastico, colori abbassati, capigliatura raccolta e riportano alla mente la Suonatrice di liuto della Pinacoteca Nazionale di Siena databile agli inizi del secondo decen­nio del Seicento quando il pittore appare perfettamente adeguato alle esperienze naturalistiche. La parte destra del dipinto invece, caratterizzata da uno studio di natura morta di ampio respiro, rivela dei bagliori straordinari: dalla penombra appaiono, come illuminati da fasci di luce, un vaso all’antica con fiori dai colori vivaci e dalle forme variegate, un cestino con frutta, ortaggi e foglie dai cromati­smi caldi e ben calibrati. I vasi di fiori oltre a manifestare un interes­se naturalistico, costituiscono il contenuto simbolico dell’opera. I fiori, proprio perché di breve durata, meglio esprimono la fuga­cità e la transitorietà della vita umana. Le due parti del quadro, così diversificate fra di loro, sono unite da uno sfondo con veduta cam­pestre ove si affaccia un putto che suona il flauto. La costruzione in lontananza assomiglia in effetti al complesso chigiano poco distante da Siena caratterizzato da una villa a corpo rettangolare, da una cinta muraria che la circonda e da una peschiera. Il giovane putto dalle guance arrossate sembra invitare lo spettatore a visitare il luogo.

La natura morta è un genere inaugurato da pittori fiamminghi di fine Cinquecento, e in Italia trova il maggior rappresentan­te in Caravaggio. Inizialmente, questo soggetto è apprezzato da pochi: il termine stesso, «morta», introdotto nelle Accademie, ha un evidente senso spregiativo. In meno di mezzo secolo, però, il genere diventa molto richiesto per le case di nobili e borghesi e anche Siena si adegua abbastanza rapidamente a questo nuovo genere. Le nature morte del Petrazzi risentono essenzialmente dei modelli toscani di Jacopo da Empoli e dei prototipi caravaggeschi romani di Tommaso Salini e di Pietro Paolo Bonzi detto il Gobbo dei Carracci. In questo gruppo di artisti, attivo a Roma tra il secondo e il quarto decennio del Seicento, spicca il Maestro della natura morta Acquavella che la critica identifica con Bartolomeo Cavarozzi, un’artista che si specializza nella produzione di dipinti rappresentanti cesti carichi di frutta, zucche mature, cavoli e grap­poli d’uva. Questo tipo di rappresentazione era praticata fin dalla prima decade del Seicento nell’Accademia istituita nel Palazzo romano di Giovan Battista Crescenzi ove si svolgevano delle sedute pittorico-naturalistiche ed è probabilmente in questo ambiente che Astolfo Petrazzi conoscerà questo nuovo genere che sarà poi molto apprezzato a Siena.